Donne e Resistenza

La storiografia della Resistenza partigiana basata su fonti istituzionali, sul grande racconto della guerra di liberazione, limita a lungo il ruolo delle donne nella resistenza, il cui apporto è rimasto a lungo ‘taciuto’. Solo a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, una nuova stagione di studi recupera la memoria della presenza attiva delle donne, supera lo stereotipo delle donne come vittime della storia, e mai soggetti attivi, capaci di iniziativa e di scelta e di pensiero proprio. Quando parliamo di resistenza civile delle donne ci riferiamo all’entrata in guerra della figura femminile e la sua presa alle armi negli anni della guerra. È necessario saper dare il giusto peso a quella massiccia presenza di donne che, senza l’utilizzo delle armi, ha contribuito in modo determinante alla caduta del nazi-fascismo, consentendo così di modificare la concezione della resistenza come un evento che richiama necessariamente l’uso delle armi e, di conseguenza ,di comprendere il modello stesso di cittadinanza ereditato dalla Resistenza, affermato non solo con le armi, ma anche attraverso il coraggio civile della dignità personale e della partecipazione individuale e collettiva. La scelta di resistenza come un’esperienza individuale e come assunzione personale di responsabilità coinvolse entrambi i sessi.
Le donne, però, ebbero una spinta maggiore per partecipare alla resistenza. Esse costrinsero loro stesse alla presa delle armi, in risposta alla violenza subita in termini di stupro, di abuso e di sfollamento. Fu una pratica di lotta affrontata con coraggio e duttilità. Diverse furono le motivazioni che spinsero le donne, per lo più giovani, a rischiare la propria vita in guerra: la cultura familiare, le esperienze personali, il ruolo affidatogli dalla società. Alcune entrarono nella Resistenza per motivi umanitari, altre con maggiore coscienza politica, ma per tutte quegli anni coincidono con il ricordo di un “tempo pieno” in cui le donne hanno potuto «fare la storia dall’interno». Scarsa tuttavia fu la loro visibilità nel dopoguerra, fin dalle manifestazioni per la Liberazione; il loro atteggiamento di riserbo e di silenzio (in poche chiesero un riconoscimento ufficiale) non permise loro di avere i giusti riconoscimenti da parte delle istituzioni, per cui non vennero conosciuti i loro volti e le loro identità.
Alla Resistenza parteciparono circa 35.000 donne, delle quali 2750 vennero fucilate e a 15 di esse verrà assegnata la medaglia d’oro; mentre ai Gruppi di Difesa della donna, sorti al nord nel 1943 per la conquista dei diritti delle donne, nel quadro della lotta di tutto il popolo per la liberazione della patria, aderirono 70.000 donne, ma le cifre si devono moltiplicare se si vuole dar conto della partecipazione diffusa. Tra i volti della resistenza delle donne ricordiamo alcune delle più famose e coraggiose, quali Carla Capponi, Irma Bandiera, Paola Del Din, Livia Bianchi, Gina Morellin; oltre a loro vanno anche ricordate le mogli, le madri e le sorelle rimaste a casa mentre i mariti, i fratelli e i figli spesso si trovavano a combattere tra le fila partigiane, o erano costretti a nascondersi, e che offrivano segretamente aiuto a chi sfuggiva all’esercito nazifascista. Sono i volti della Resistenza delle donne, coraggiose e combattenti,
oppure semplici cittadine italiane che hanno lottato contro il nazifascismo fianco a fianco con i partigiani.

A cura di Sofia Lo Grasso, 5E, corsista del PTFO “Il valore della Memoria”, anno scolastico 2022/2023

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