Teatro Perlasca – Recensione di Flavia Grasso (5CS)

Quanto può essere difficile dire “No”? Poco, direi. Ma invece, quanto può essere difficile dire “No” quando si tratta di mettere a repentaglio la propria vita? Tanto, forse troppo, direi. Ma fu proprio un “No” la risposta che diede Giorgio Perlasca, un No alla violenza, un No ai soprusi ingiustificati che milioni di persone dovettero subire, un No a coloro che si facevano beffe della vita, un No alla morte. Giorgio Perlasca, un semplice commerciante italiano di iniziale propensione verso la cultura fascista, nel corso dell’inverno del 1944-1945 a Budapest, nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale, disse No alla deportazione nazista di oltre cinquemila ungheresi di religione ebraica che, grazie al suo disinteressato intervento, riuscirono a mettersi in salvo sfuggendo all’ultimo minuto dalle braccia della morte che li aveva ormai quasi presi con sé. Incurante dei rischi che avrebbe corso qualora fosse uscito a galla il suo segreto, Giorgio Perlasca inventò un ruolo, quello di Console generale spagnolo, un ruolo che riuscì a mantenere fino alla fine del conflitto e di cui, una volta tornato nella sua terra natia, l’Italia, non parlò a nessuno, nemmeno alla sua stessa famiglia. Volendo raccontare brevemente la sua storia, è doveroso cominciare dagli albori delle sue propensioni, affermandolo come approvatore del fascismo italiano, regime dal quale si distaccò già dal 1938, nello stesso anno in cui Mussolini emanava una dopo l’altra le leggi razziali, da Perlasca considerate primo strumento di ingiustificata persecuzione umana. Alla definitiva occupazione di Budapest del 1944 da parte della Germania nazista, all’apparenza inarrestabile in territorio europeo, Perlasca trovò rifugio presso l’ambasciata spagnola, rendendosi così conto della vera situazione politica del paese, ormai piegato alla violenza. In un paese in cui gli ebrei venivano rapiti dalle proprie case protette, condotti sulle rive del Danubio, spogliati, legati a coppia e poi lasciati morire annegati nei fondali ghiacciati del fiume a causa del peso di un componente della coppia che, morto da sparo, trascinava con sé l’altro, Giorgio finse di prendere il posto del vecchio governatore, scappato dal suo dovere come mille altri prima di lui. Presentandosi alle stazioni da cui partivano treni pieni di bambini per salvarne il maggior numero possibile grazie a dei salvacondotti firmati di suo pugno e portando via con sé i bambini che trovava per le strade, diede loro una casa sicura all’interno di fabbricati gestiti dalla stessa ambasciata. Il motivo di tutto questo? «Dovere» diceva lui. «Amore» direi io: Amore verso i bambini, Amore verso l’umanità, Amore verso la vita. «…ma lei, avendo la possibilità di fare qualcosa, cosa avrebbe fatto vedendo uomini, donne e bambini massacrati senza un motivo se non l’odio e la violenza?»: queste le parole di risposta di Giorgio Perlasca – meglio conosciuto con il nome di Jorge Perlasca – a chi gli chiedeva perché lo aveva fatto. La sua storia venne alla luce solo negli anni Ottanta, a distanza di una quarantina d’anni dall’accaduto, grazie alla testimonianza di due donne ebree da Giorgio stesso portate in salvo che raccontarono l’incredibile storia di chi, senza paura, aveva eliminato la paura dal cuore di qualcun altro. Questa storia, questi eventi, queste testimonianze di coraggio non fanno altro che fare emergere il buono che ci può essere nel cuore di un uomo, quel buono che abbiamo tutti, ma che molto spesso nascondiamo e sopprimiamo senza nemmeno rendercene conto. Nel 1989 Perlasca ottenne il titolo di Giusto tra le Nazioni, un riconoscimento mondiale che veniva assegnato ai non ebrei che rischiarono le loro vite per salvare gli ebrei durante la Shoah, ma anche un riconoscimento che egli stesso non aveva e non avrebbe in alcun caso richiesto in quanto appagato dal solo sentimento di riconoscenza che nessuno prima degli anni Ottanta gli aveva mai effettivamente dimostrato, ma che si faceva bastare per continuare a vivere consapevole di aver svolto il proprio dovere non di diplomatico, né di console spagnolo, né di oppositore al nazismo, ma di semplice uomo. Ognuno di noi è un uomo, ognuno di noi ha un potere. Giorgio Perlasca ebbe il potere di uomo di fare una scelta alternativa a quella che sembrava l’unica, impiegando il suo coraggio negli interessi del mondo e diventando in tal modo un eroe. Joseph Campbell diceva così: «Un eroe è un normale essere umano che fa la migliore delle cose nella peggiore delle circostanze» e Giorgio Perlasca viene ancora oggi ricordato proprio sotto tale nome da chi, come me, è grato di conoscere la sua storia. (Flavia Grasso 5CS)

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